Simm comm a l'ali e na palomma, sule stann astritte riuscimmo a vulà
CULTURA


Mara come me

edizioni Cooper

COLTURA

Il Manifesto
Martedì 3 Maggio 2011

L’intervista
Marco Salvia <<Il processo a Don Gelmini va fatto e non affossato. Ho vissuto dieci giorni nella comunità Incontro di Amelia e so di cosa parlo>>

Eleonora Martini

“In futuro sarei guarito dalle numerose malattie causate dalla droga ma mai mi sarei del tutto liberato dallo stress e dal dolore subiti”. Fausto è solo uno dei tanti ragazzi che come naufraghi esausti approdano in una ben precisa comunità di recupero per tossicodipendenti, molto sponsorizzata, e si ritrovano invece prigionieri di una sorta di setta dove le conoscenze medico-scientifiche vengono rifiutate e sostituite dalla “Cristoterapia”, imposta da un prelato sempre circondato da guardie del corpo e dai suoi fedelissimi. Una comunità dove le forze dell’ordine si fermano alla porta, anzi, attendono in aiuto il “Don” da scortare. Abusi, soprusi, violenze psichiche, fisiche e sessuali: “Ma era poi così difficile immaginare come quasi seicento individui provenienti dalle strade di tutta Italia e con le esperienze più miserevoli alle spalle, rinchiusi nello stesso luogo e sottoposti a privazioni di tutti i tipi tra cui quella del sesso, potessero dedicarsi a qualcosa di diverso, viste le finalità strumentali della direzione?”. Lì “c’era don Luigi, ma chi controllava che don Luigi fosse idoneo a un compito simile? Il Vaticano? Chi verificava la preparazione dei suoi collaboratori, in maggioranza ex tossici formatisi nella stessa scuola?”.
Fausto è il protagonista del romanzo di Marco Salvia “Mara con me” appena edito dalla Cooper (pag.159, euro 13). Un noir dal ritmo serrato, intrigante e appassionante, che in questa edizione (la seconda: venne pubblicato per la prima volta nel 2004 da Stampa Alternativa) porta in calce la rivelazione del segreto che nasconde: la storia del fondatore della comunità cui l’autore è ispirato.
Salvia, ci racconti tutto dall’inizio, da quando il suo noir venne scelto dalla Coloradofilm di Gabriele Savatores per farne una fiction.
Scrissi la sceneggiatura ma è finita sepolta in un cassetto, perché ormai in Italia non si fa più un film se non passa per la televisione e in tv le porte si sbarrano a una a una. Si può immaginare che tipo di reazioni ha sollevato quel Don, manipolatore di anime, che fonda una sorta di città-stato tra le colline del centro Italia dove riceve illustrissimi ospiti e dove le terapie psicologiche e farmacologiche per la cura della tossicodipendenza non sono altro che “ridicoli palliativi inutili e fuorvianti”, come afferma Don Luigi nel romanzo.
Fu allora, nel 2005, proprio sul manifesto che lei svelò i tratti autobiografici, reali, di un romanzo che è anche costruito su spunti di fantasia e rivelò a chi era ispirato don Luigi, uno dei personaggi principali. Venne querelato?
Assolutamente no, anzi. Dissi esplicitamente che si trattava di don Pierino Gelmini, fondatore della comunità Incontro di Amelia (Tr). Anche se per scrivere il romanzo ho raccolto quasi cento interviste di ospiti di varie comunità terapeutiche, e per quanto riguarda l’omicidio descritto nel romanzo, mi sono ispirato alle deposizioni del processo  a Vincenzo Muccioli (assolto in secondo grado) il fondatore di San Patrignano. Sono testimone del grande business che si è sviluppato attorno a questo tipo di comunità e alla propaganda che tende solo a fare disinformazione sul problema delle droghe. In Francia la comunità Le Patriage, che ha lo stesso approccio ideologico di Gelmini e Muccioli, è stata iscritta sul registro delle sette. È successo invece che il mio libro è stato acquisito agli atti dell’inchiesta della procura di Terni, e io stesso sono stato ascoltato dal pm Barbara Marzullo che nel marzo del 2009 richiese e ottenne il rinvio a giudizio per don Gelmini con l’accusa di aver abusato sessualmente di 10 ospiti della comunità Incontro, alcuni dei quali minorenni.
Parliamo di un personaggio non da poco: nel 2006 con la sponsorizzazione di Gelmini è diventata legge dello stato italiano la Fini-Giovanardi che senza alcun fondamento scientifico ha parificato di fatto l’eroina alla marijuana facendo la ricchezza delle mafie e delle comunità terapeutiche private. E riempiendo le carceri di tossicodipendenti o di piccoli spacciatori. Lei ha conosciuto don Gelmini, vero?
Sì. Negli anni ’80 ho passato una decina di giorni nella comunità Incontro, ad Amelia. E ho conosciuto tanti ragazzi che vi sono passati. Ho aiutato alcuni di loro a farsi forza e denunciare, perciò mio malgrado sono diventato il catalizzatore di tante terribili storie, tanti ragazzi che mi cercano perché non sanno a chi rivolgersi. Purtroppo sono anni che ricevo tanti piccoli “avvisi”, telefonate mute notturne e altro. Ma non mi importa. Qualche tempo fa mi chiamò la madre di un ragazzo che mi chiedeva aiuto perché era disperata, tanto più perché lei era molto devota a quel prelato e lo vedeva come una sorta di santo. È così, d’altronde, che vogliono farlo passare. È già cominciata l’opera di santificazione con un film dal titolo “Don Pierino” – l’unico che in questa Italia anestetizzata si può fare su don Gelmini – che è pieno di falsificazioni, uno spottone per descriverlo come un santo e accusare di persecuzione chi lo ha accusato e chi indaga. Una fiction appena prodotta che è un manifesto per esaltare questa persona e che presto – ne sono sicuro – vedremo in televisione. Pensi che tra le varie comparsate di questo film, veri e propri testimonial della sua immagine mediatica, c’è anche Silvio Berlusconi.
Queste sono sue valutazioni, non l’ho ancora visto. Dunque quest’anno, in occasione dell’apertura del processo a don Gelmini prevista per il 29 marzo 2011 ma subito rinviata ad ottobre per problemi di salute del principale imputato (gli altri sono tre suoi collaboratori ma uno, Pierluigi La Rocca, nel frattempo si è suicidato), la casa editrice Cooper le ha chiesto di aggiungere in calce al romanzo la cronologia del caso giudiziario del controverso sacerdote. Perché lei ci tiene così tanto a far emergere questa storia?
Perché si dice sempre che ha salvato tante persone mentre io credo siano molte di più quelle che ha distrutto. Poi ci sono persone che sono state brave a salvarsi da sole, e la comunità ha offerto loro un posto dove farlo. Basti pensare che non è riuscito a salvare nemmeno La Rocca, ex tossicodipendente e suo fedelissimo trattato a base di Cristoterapia per vent’anni. Va detto chiaramente che il processo va fatto e non deve essere affossato. Il problema è che queste comunità ricevono moltissimi soldi pubblici. Don Gelmini, poi, malgrado abbia già scontato quattro anni di carcere negli anni 70 e sia accusato di abusi sessuali, gode della difesa ad oltranza di molti e potenti esponenti politici del centrodestra e degli ingenti doni di Berlusconi, decine di milioni di euro che gli sono serviti a costruire un impero di 150 comunità nel mondo anche in Thaliandia, Bolivia e Costarica (5 milioni di euro solo negli ultimi anni, secondo la lista di donazioni resa nota dallo stesso Silvio Berlusconi attraverso Italia 1 nel febbraio scorso, ndr).
Nella postfazione al romanzo lei racconta le mille difficoltà incontrate dai ragazzi abusati nel trovare credibilità (“è la nostra voce che ascolteranno, non quella di un tossico bugiardo come te”) e dalle famiglie impaurite dalla potenza e dalle conoscenze del personaggio. Ma perché, se fossero tutti veri questi abusi, la comunità terapeutica non esplode?
Perché c’è effettivamente un grande controllo carismatico su persone molto fragili come i tossicodipendenti e le loro famiglie. Persone che non sanno a chi altro rivolgersi perché questo governo sta smantellando a poco a poco tutti i servizi sociali per tossicodipendenti. Sono ragazzi che cercano un nuovo padre e genitori che credono più all’immagine che alla realtà. Dentro la comunità la legge non entra perché esiste solo la legge-verità del capo supremo. È una semplificazione che sviluppa dipendenza perché le leggi sono semplici, preistoriche, e se fili dritto spesso ti viene dato un ruolo che ti permette di usare potere verso altri. La società – che rimane fuori e non entra mai in questa strutture al contrario di quanto avviene perfino nelle carceri – è più complessa, è più difficile confrontarsi con le norme, le relazioni e la libertà di scelta. Un progetto di recupero, invece, dovrebbe essere un progetto di restituzione alla società.
Lei trova delle somiglianze tra la figura pubblica di Don Gelimini e quella di Silvio Berlusconi?

Assolutamente sì: antropologicamente, culturalmente, politicamente. Entrambi puntano a un potere carismatico ma don Gelmini, che non ha nulla di mistico, io credo sia più reazionario e bigotto. Sono molto potenti e sanno usare bene l’immagine mediatica, entrambi odiano chi si mette in mezzo sul loro cammino. Non aspirano all’autorevolezza ma ad ottenere riconoscimento. E questo è terribile, perché se una persona accede a un servizio non deve essere riconoscente a nessuno, è un suo diritto. Entrambi lavorano per costruire fabbriche di benpensanti, per limitare la capacità di pensiero delle persone. Gelmini conosce molto bene Berlusconi.

Più che una RECENSIONE questo mio personalissimo commento vuole essere un ringraziamento all'autore, Marco Salvia

Sono entrata in questo libro, alle due del pomeriggio, e non ne sono uscita senza prima finirlo, ore sei, 18.00. Tutto d’un fiato non solo per sapere al più presto il finale, ma soprattutto per capire come è fuoriuscito un racconto, lucido così, da una repressione così violenta.
Certi “educatori” sono come i pusher; il sistema di prima accoglienza della comunità Incontro, descritto perfettamente tra le prime pagine di questo libro, somiglia al comportamento di un pusher. E non deve sorprendere. Perché gli operatori di questa trama e gli spacciatori lavorano, in fondo, che lo sappiano o no, per la stessa causa.
Testimoni scomparsi perché non parlassero, faide interne tra aguzzini, elezioni a capò di vittime del funzionante lavaggio del cervello, autocelebrazione dell’assassinio come fosse salvezza, stupratori messi nel ruolo di educatori e persone sane messe nel ruolo di eversivi; i meccanismi che sono atti a coprire scene di inusitata bestialità, mi duole dirlo, sono gli stessi presenti in modo più o meno enorme, più o meno marcato, in comunità, istituzioni e campi di prigionia celanti un disegno che solo un sociologo odierno alla stregua di Michel Focault potrebbe, forse, spiegare. Accostando certe narrazioni di ieri (Se questo è un uomo, La tregua, Un mondo a parte, 1984) e di oggi (Il disertore, Mara con me), si può ovviare alla mancanza di trattati che apertamente descrivano le ripetute trame delle diaboliche menti tese al controllo di un’intera società. Il mio parere, infatti, è che non si tratti solo di casi chiusi tra mura addette a ricoprire il “disagio”. Questi lager ci toccano tutti.
Aggiungo che, purtroppo, don Luigi Gelmini (e chi come lui e con lui) ancora opera e che, di certo, il sistema di spodestamento (se non uccisione) della personalità è una finta cura non solo nella comunità Incontro, dove né psicologi, né medici sono ammessi, ma anche in altre “tende”, sert, o centri a doppia diagnosi, dove, pure, il capo è un sadico “salvatore” per centinaia di utenti di un servizio di cura, tutti chiamati, i ragazzi, nomignolo inferto a degli adulti divenuti affare lucruoso e centro di bersaglio per mentalità dedite al sadismo con il nobile compito del controllo sociale.
Dopo un’immersione in un bagno così corrotto e disumano anche una voce schizofrenica fuori campo può reagire al delitto: Nessuno ti aiuterà a fare giustizia, uccidili come loro hanno ucciso, uccidi il loro mandante e questo non accadrà più, uccidi l’ombra che vi spiava.
Resterà sempre qualche Mara lasciata nel libro del nostro pianeta terra a chiedere aiuto a tutti i veri esseri umani, a chiedere vera salvezza, dalla sadica volontà tesa al dominio, finché non sarà celebrato e con giustizia concluso il Processo che accomuna tutti questi mandanti nell’unica cella che loro spetta.
Un processo che chiami in causa tutti e nella stessa cella, perché il meccanismo operante è lo stesso, e il suo terrorismo è rivolto alla nostra intera società. Intanto, prima ancora del processo a tutte le “società segrete” che detengono il potere e impongono il dominio alle umane società, il mio augurio è che tanti, tantissimi esseri umani, potenziali vittime di questo enorme raggiro, leggano questo libro in tempo per risvegliarsi, per non lasciarsi disumanizzare.

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Crediti e Contatti
© 2010 Francesca Picone