Autosufficienza; ma cos'è?
Una tensione verso la piena autorealizzazione dell’essere umano, con sé e con gli altri, la universalizzazione collettiva della libertà, una libertà che non riconosce il “principio” di autorità in quanto tale, quindi disconosce la pretesa di assoluto della Scienza, di salvezza dello Stato, di redenzione della Religione e di gestione, infine, dell’Alta Finanza. Sentivo parlare di autosufficienza, energetica, alimentare, scolastica ed anche medica, come scopo degli ecovillaggi, già tanti anni fa, durante la nascita di questo sito, ma questa, messa così, da sola, può essere una parola fuorviante. Come l’anarchismo (primo fra tutti quello di Bakunin) non è autarchia, così questa autosufficienza (tesa all’infinito della libertà e ad una sempiterna volontà di muovere le contingenze allo scopo di rendersi liberi da queste pretese di autorità), non è isolamento. Si parla di una libertà non rinchiudibile nelle righe di un contratto, tantomeno di un contratto sociale derivante dall’assunto che ogni uomo è per natura cattivo, ma che anche abbisogna di muovere passi concreti via via, pure contrattuali se si vuole, eppure mai definitivi e definiti per sempre. Liberi dalle tasse, il primo mio sogno; liberi dai guru e sacerdoti vari con pretesa di esclusività; liberi anche di cercare la cura che davvero si adatta al nostro stato; liberi di guadagnare senza piegarsi alla corruzione delle istituzioni che, come diceva Daphne Caruna Galizia, è ovunque. Liberi infine di vivere dove ci aggrada, di abitare un luogo perché qualcosa in esso ci chiama e non perché ci siamo nati o perché lì ci abbiamo i parenti. Autosufficienza, è la condizione primaria e concreta di questa libertà. Senza di questa, qualcuno avrà il potere di toglierci una parte di libertà con la pretesa che sia necessario per assicurarci il resto della libertà, così come accaduto, il vaccino vi renderà liberi, diceva qualcuno (invece della verità). Così preventivò anche Bakunin, che ho assunto a ispiratore di questo articolo: “Si potrebbe ribattere che lo Stato, in quanto rappresenta il benessere pubblico o l’interesse comune a tutti, restringe la libertà dei singoli solo per assicurare loro la parte restante. Ma ciò che resta può essere una forma di sicurezza: non è mai libertà. La libertà è indivisibile; non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta. Questa piccola parte che si toglie è l’essenza fondamentale della mia libertà; è la libertà intera. Attraverso un naturale, necessario e irresistibile movimento, la mia libertà è concentrata proprio in quella parte, per piccola che possa essere, che mi si toglie” (La libertà degli eguali, Eleutheria, pag 59). Se questo è potuto accadere è per via di un’abitudine che ci è stata consegnata dall’asilo in poi. La stessa abitudine che sia Montaigne che La Boetie, accusavano di impedirci la vera libertà. Tornando ancora al mio caro anarchico:“una folla di avvelenatori ufficiali di ogni specie, preti e laici, si trasformano dentro di lui in una specie di abitudine mentale, troppo spesso più potente del suo stesso buon senso naturale. C’è un’altra ragione che spiega e legittima in qualche modo le credenze assurde del popolo. Questa ragione è la condizione miserabile nella quale si trova fatalmente condannato dall’organizzazione economica della società nei Paesi più civili di Europa. Ridotto sotto il rapporto materiale al minimo di esistenza umana, chiuso nella sua vita come un prigioniero nella sua prigione, senza orizzonte, senza uscita e, se si deve credere agli economisti, anche senza avvenire, il popolo dovrebbe avere l’animo particolarmente angusto e l’istinto piatto dei borghesi per non provare il bisogno di uscirne;”. (Bakunin, La libertà degli eguali, Eleuthera, pag 46). L’autosufficienza è una fede che rifiuta le credenze, che cerca in questo senso di liberarsi dalle gabbie dell’abitudine, dalla fatalità di un destino che nessuno ha mai davvero trovato scritto da nessuna parte. La sua universalizzazione collettiva della libertà è un ecovillaggio che si guarda bene dall’ospitare in se stesso questi avvelenatori di pozzi, e che vorrebbe liberarsene del tutto ma che li adopera quel che la necessità ancora gli consiglia e non di più, nel mentre cerca in se il gran rifiuto nei confronti di essi, che vogliano fornirci, acqua, lavoro, energia elettrica, cure sanitarie, recinti sociali. Faccio seguire quindi un ultimo estratto, mentre ho in mente la Palestina:“Lo Stato quindi è la più flagrante, la più cinica, la più completa negazione dell’umanità. Esso frantuma la solidarietà universale di tutti gli uomini sulla terra e li spinge all’associazione al solo scopo di distruggere, conquistare e rendere schiavi tutti gli altri. Protegge solo i suoi cittadini, e solo entro i suoi confini riconosce diritti, umanità e civiltà. Poiché non riconosce diritti fuori di sé, si arroga logicamente il potere di esercitare la più feroce inumanità nei confronti dei popoli stranieri, che può saccheggiare, sterminare, o rendere schiavi a volontà. Se talvolta si mostra generoso e umano verso di essi, ciò non avviene per senso del dovere, principalmente perché non ha doveri che verso se stesso, e in subordine solo verso coloro che liberamente lo hanno formato e che liberamente continuano a costituirlo, o persino, come sempre succede alla lunga, verso coloro che sono divenuti i suoi sudditi. Infatti non esiste una legge internazionale, perché mai potrebbe esistere in modo unificante e realistico senza minare alle fondamenta proprio il principio della sovranità assoluta dello Stato. Esso non può avere doveri verso i popoli stranieri; se quindi tratta un popolo conquistato in maniera umana, se lo saccheggia e lo stermina solo a metà, se non lo riduce al più basso livello di schiavitù, ciò avviene per cautela, o perfino per pura magnanimità, mai però per senso del dovere: perché lo Stato ha l’assoluto diritto di disporre di un popolo conquistato a sua discrezione. La flagrante negazione di umanità che costituisce la reale essenza dello Stato è, dal punto di vista dello Stato, il suo supremo dovere e la sua più grande virtù. Porta il nome di patriottismo …” (Bakunin, La libertà degli eguali, Eleuthera, pag. 64-65).