Cantico degli impiccati dei nostri tempi
Noi che abbiam seguito le orme dei nostri padri abbiamo trovato un pozzo,
noi carcerati nella moltitudine ammassata abbiam creduto al carcere come a un punto d'onore, prima di entrarvi,
noi esuli dell'ultima ora sapevamo l'Italia una striscia di terra buona, piena di porti per attraccare,
noi soldati dell'amor di patria pensavamo che le cartoline dei nostri cari ci avrebbero fatto sentire come i nostri nonni,
prigionieri o partigiani, invece: il sudiciume umano della sporca guerra rendeva la voce che al telefono salutava i cari, una impietosa lagna piena di vergogna
noi che abbiamo la pelle rossa chiediamo ai riti che la dipingono di conservare memoria dei nostri antenati guerrieri, dei boschi dove cacciare, dei fiumi dove lavare, ma poi ci riveliamo blasfemi nella vita che facciamo, nudi come la terra arida incolore e deserta, che ci imprigiona
noi laureati pompiamo curriculum che non esistono, ci raccomandiamo a esperienze che non ci hanno umanizzato, sfoderiamo una sapienza che nessuna scuola ci ha consegnato.
Noi che cercammo di essere attori sui palchi del mondo giusto, ci siamo traditi e ritrovati ingiusti, ed ora non sappiamo dove andare.
Dal mare che bagnò i sogni fanciulli, siam passati oltre il confine, nella stanza senza porte dove non c'è cittadinanza.
Per questo cadiamo, sperando poi di salire in alto, come se la morte non fosse altro che un trampolo, inedito trucco per evitare la discesa in questo pianeta terra, che pur ci toccava.