IL PICCOLO PRINCIPE
Il vero messaggio di Antonie De Saint-Exupèry
Il libro si apre con un trabocchetto, il disegno di un bimbo di sei anni, che, dopo aver meditato sulle avventure della jungla, disegna un boa che ha appena inghiottito un elefante, e ripropone questo suo disegno numero uno, per anni ed anni, ma invece di vedere un serpente con lo stomaco a forma di elefante, gli adulti vedono un cappello. Si tratta di un trabocchetto cui scivola chi aderisce esclusivamente a una forma, e il cappello è quanto mai la forma idolatrata dagli adulti che questo libro ci presenterà, adulti che sanno solo di re, cavalieri e papi, e non si spaventano davanti al disegno del bambino perché non vedono altro che la forma di un cappello.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se veramente era una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “è un cappello”.
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.
Perduto nel deserto del Sahara in seguito a un incidente con il suo aeroplano, una volta adulto, ha un’apparizione: un bambino, il piccolo principe, gli chiede di disegnargli una pecora. Davanti al suo solito primo disegno, il bambino capisce, e rifiuta: non vuole il boa, è troppo pericoloso, e nemmeno l’elefante, troppo ingombrante.
Il piccolo principe ha l’animo di un bambino ma il fare di un adulto misterioso, un mistero che tuttavia lascia dei segni per lasciarsi scovare. Ci misi molto tempo a capire da dove venisse. Il piccolo principe, che mi faceva una domanda dopo l’altra, pareva che non sentisse mai le mie. Sono state le parole dette per caso, che, a poco a poco, mi hanno rivelato tutto.
Il piccolo principe viene da un paese così piccolo che: Dritto davanti a sé non si può andare molto lontano.
Per i grandi che amano le cifre, quest’uomo perso nel Sahara ci ricorda la scoperta dell’asteroide B612; suppone il piccolo principe venga da lì.
Il piccolo principe sul suo asteroide aveva una disciplina da seguire: doveva fare pulizia della sua terra, ogni mattino, appena alzato, doveva evitare che prosperassero i baobab, delle piante che avevano radici troppo grosse e crescevano enormi, troppo per quel piccolo mondo. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai, ai quali assomigliano molto quando sono piccoli. Un lavoro molto noioso, ma facile.
La vita su questo piccolo asteroide era così melanconica e il piccolo principe così triste, che rincorreva i tramonti per guardarli, da una parte all’altra del suo piccolo globo; un giorno ne vide quarantatre.
Il segreto del piccolo principe viene svelato, grazie a uno sbotto avvenuto per caso, il quinto giorno; l’aviatore, che ha provocato il piccolo principe senza saperlo, comprende la sua tragedia. Su quel piccolo pianeta, dove i baobab non possono stare, crescono dei fiori che hanno spine tutto intorno, sono ingenui. Si rassicurano come possono. Si credono terribili con le loro spine…. Ecco spiegata la tragedia e il paradosso. Un pianeta dove sono piccoli fiori con stupide spine a comandare, e gestire perfino le stelle, e dove i grandi alberi debbono esser estirpati. Da notare che il disegno del piccolo principe sul baobab è l'unico, oltre quello finale, in cui non porta la sciarpa d'oro al collo.
Ora che il piccolo principe si è fatto disegnare una pecora, la porterà nel suo pianeta, così che la pecora mangerà le rose, e vi sarà una guerra fra pecore e fiori. Ma se la pecora mangia il fiore, è come se per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero!
Questo fiore per cui il piccolo principe è scoppiato in singhiozzi si è mostrato proprio al levar del sole
Sono nato insieme al sole, disse al principe, vorresti pensare a me.
Un fiore orgoglioso, con le sue quattro spine, che si faceva curare come un essere oltremodo delicato, e pure pretenzioso. Così il piccolo principe dovette pensare a proteggerlo dalle tigri, dal vento e dal freddo della sera. Un fiore che quando diceva bugie troppo palesi tossiva per mettere il piccolo principe dalla parte del torto.
Deluso e amareggiato il piccolo principe confida, avrei dovuto non ascoltarlo. Avrei dovuto giudicarlo dagli atti, non dalle parole.
Già arrivati a questo punto, chi conosce i sistemi di affiliazione messi in atto da associazioni che somigliano più a logge, o sono logge a tutti gli effetti, ne riconosce gli aspetti. In più, questa rosa crudele, sembra proprio voglia stare a rappresentare la Rosa Rossa. Accade che un fiore smetta di essere solo un fiore e, per certe organizzazioni, assurga a simbolo, di dominio e crudeltà.
Io credo che approfittò, per venirsene via, di una migrazione di uccelli selvatici. Il mattino della sua partenza mise bene in ordine il suo pianeta, ci dice il suo amico, ma, e la cosa dovrebbe stupirci, al fiore non interessava più la campana di vetro per essere protetto dal vento, dai bruchi e dalle tigri. I suoi silenzi, le sue tossi, le sue richieste, erano quindi solo modi per legare il piccolo principe attraverso i sensi di colpa.
Venuto via dal suo piccolo pianeta per il piccolo principe inizia il viaggio, attraverso altri pianeti, ma ovunque sembra apparire la stessa tristezza per una futile attività cui gli abitanti sono legati.
Un re che non ha sudditi e che, incontrato il piccolo principe, previene la sua libertà con una parvenza di ordini anticipatori quando l’azione sta per avere luogo e che giustifica la sua reale mancanza di controllo con la sua saggia e razionale volontà che non dà ordini impossibili da compiere. Un re che quando risponde, aspetterò che le condizioni siano favorevoli alla domanda del principe di regalargli un tramonto, ricorda le mezze ammissioni di verità della Grande Chiesa davanti a tempi che rivelano e richiedono la pubblicazione di verità sempre celate.
Un re che per legare il suo suddito gli regala un altro suddito, un topo da condannare a morte, di tanto in tanto.
Non mi piace condannare a morte, rispose il piccolo principe. Preferisco andarmene.
Sul pianeta del vanitoso vive un tipo con un buffo cappello, che però non ha nessuno a battergli le mani. Il gioco del clap clap è divertente, ma monotono; il piccolo principe si stanca presto. E che cosa bisogna fare, domandò, perché il cappello caschi?
Ma il vanitoso non l’intese. I vanitosi non intendono altro che lodi.
La visita sul pianeta dell’ubriaco è breve e melanconica.
Perché bevi?
Per dimenticare
Per dimenticare cosa?
Per dimenticare che ho vergogna.
Vergogna di che?
Vergogna di bere.
Il piccolo principe se ne andò perplesso.
Viene poi sul pianeta dell’uomo d’affari, un tipo tutto intento con i suoi numeri, che intende possedere le stelle solo contandole e poi vuole brevettare la sua inutile fatica in banca; e ritiene di essere impegnato in una faccenda seria.
È divertente, pensò il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non è molto serio.
Il piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei grandi.
Sul quinto pianeta del suo viaggio incontra un uomo occupato nella sua consegna: accendere e spegnere un lampione. Un’occupazione assurda, ma per lo meno utile; quando accende il suo lampione è come se facesse nascere una stella in più. Una consegna che è divenuta terribile nel momento in cui il suo pianeta prese a girare più velocemente; da allora la sua azione non ha mai riposo. Il piccolo principe vuole invitarlo nel suo piccolo pianeta, dove si può essere nello stesso tempo fedeli e pigri. Spostandosi di un passo per stare sempre nel giorno, il lampionaio potrebbe riposarsi. Ma l’uomo desidera solo dormire. Il piccolo principe, andato via anche di lì, pensa, il pianeta del lampionaio era un pianeta dove c’erano tutti i tramonti che desideravo vedere, l’unico pianeta il cui abitante era impegnato in un’attività utile, e poteva essere un ottimo amico, ma un pianeta troppo piccolo per due.
Sul pianeta del geografo esploratore che non si muove di un passo ma segna sul suo librone i racconti comprovati di improbabili pellegrini, non sono riconosciuti i fiori.
Perché i fiori sono effimeri.
Cosa vuol dire effimero?
Il geografo non sa rispondere al piccolo principe, ma gli mette in cuore il rammarico per aver lasciato il suo fiore con solo quattro spine per difendersi dal mondo, e gli consiglia di andare a visitare la terra. Ha una buona reputazione.
Il pianeta Terra era un paese ricco di lampionai, prima dell’invenzione dell’elettricità; su sei continenti, ve n’era un’armata di quattrocentosessantaduemila e cinquecentoundici. E mai che si sbagliassero nell’ordine dell’entrata in scena. Era grandioso.
Sembra un pianeta affollato, ma la verità, ci dice il piccolo principe, è che gli uomini occupano molto poco posto sulla Terra. Solo che i grandi si immaginano di occupare molto posto. Si credono dei baobab. Non è un'affermazione di poco conto, se si considera che sulla base di una falsa asserzione (siamo troppi sul nostro pianeta) vengono ideologicamente giustificati, agli occhi di un adepto che sia terrorista o massone, stermini di massa. Per confutare questa falsità, l'autore fa capitare la caduta del piccolo principe sulla Terra nel luogo più disabitato; il piccolo principe capita nel deserto, un luogo dove si è soli, gli rivela un serpente, che poi aggiunge: si è soli anche con gli uomini. Gli ricorda che quando vorrà, quando comincerà a rimpiangere il suo pianeta, lui, con un tocco, lo può restituire alla sua terra.
Gli uomini, gli dice poi un fiore, non hanno radici, e questo li imbarazza molto.
Il piccolo principe sale sulla montagna chiamando amici, gridando, io sono solo. Ma gli risponde l’eco: io sono solo…io sono solo…io sono solo.
Gli uomini non hanno immaginazione. Desume il piccolo principe.
Poi incontra un rosaio, e ne rimane molto rattristato, perché capisce che la sua rosa non era l’unica. Non è un caso che proprio adesso, nel bel mezzo del pianto, gli si avvicini la volpe, con una richiesta che è solo l'inizio di una subdola lezione: il segreto dell’addomesticare.
Se tu mi addomesticassi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Bisogna porre molta attenzione. Se non si coglie l’ironia che è presente in tutto il libro, non si coglie il messaggio, e tantomeno quello trapelato dall’incontro con la volpe. La volpe è un animale riconosciuto per la sua furbizia, portatore di inganno, come in tutte le favole. Eppure, molte delle recensioni dedicate a questo libro prendono le parole volpine per buone e fanno di questo coraggioso capolavoro un banale racconto sull’amicizia; dell’insegnamento della volpe ne fanno la lezione più alta. Non è così. Quello che molte recensioni prendono per giusto io lo colgo come il segreto di un insegnamento sottilmente deviato.
La volpe incastra il piccolo principe proprio nella sua ora più triste.
Gli spiega le fasi di questo addomesticamento. Dovrà tornare ogni giorno, alla stessa ora. Saranno seduti, prima lontani, poi sempre più vicini, e senza dirsi niente. Deve tornare sempre alla stessa ora. Gli dice che questo è il rito. Un rito è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni. L’addomesticamento crea un legame per il quale si piange, al momento del distacco, e crea un fiore diverso dagli altri fiori, perché, dice la volpe mentre gli indica il rosaio, queste rose sono tutte uguali, non hai adoperato le tue cure per nessuna di loro. Alle rose a disagio dice, non si può morire per voi. Il segreto che la volpe lascia al piccolo principe è questo: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
Così, di colpo, tutto quello che è normale avvicendamento quotidiano viene azzerato di senso, e nel mentre, acquista senso solo tutto quello che crea legami, il privilegio esclusivo degli addomesticati, per i quali si può ben morire. Il rito che fa un giorno diverso dagli altri leva senso al movimento dei pianeti, e alle stelle ruba il loro splendore naturale. Tutti gli esseri vivi passano come ombre e si controverte il valore; l’essenziale è invisibile agli occhi vuol dire che solo quelle società segrete che detengono il potere esclusivo di addomesticatori e addomesticati, sono essenziali, sono ciò che muove il mondo, le stelle e l’universo.
Io sono responsabile della mia rosa, ripeté il principe per ricordarselo. Il messaggio è chiaro, questa è una lezione imparata a memoria, propinata da una volpe ammaliatrice; che i lettori non ci caschino!
La storia dell’ubriaco, e del circolo senza fuoriuscita in cui è inserito, diventa comprensibile: gli uomini sono ingaggiati in attività inutili e frustranti, hanno tutti fretta… non inseguono nulla…perdono tempo per una bambola di pezza, e lei diventa così importante che, se gli viene tolta, piangono…Questi poveri uomini, sono sottratti al riposante guardare tutto ciò che è loro intorno, tutti presi solo dai numeri, dalle ridicole responsabilità e dal denaro, e così, per dare loro un senso che si sostituisca a quello originario, non si può che dargliene uno deviato, che per l’appunto, si contrappone alla naturale meraviglia dell’universo intero. Questo controsenso è messo in luce dalla piccola storiella del mercante di pillole dissetanti, che declama il risparmio di tempo guadagnato grazie alle sue pillole. Il piccolo principe dice, se avessi cinquantatrè minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana.
Il piccolo principe è stanco, ha la fronte pallida. Insieme all’aviatore va a cercare una fontana, e quando la trovano, l’acqua che viene dal secchio tirato su con la corda è la più dolce che abbiano mai bevuto. Sono i gesti che li ha condotti lì, insieme, a rendere buona quest’acqua. Sono felici ma resta l’angustia. Il piccolo principe non fa che ricordare quello che gli ha detto la volpe, vuole tornare a casa, ma prima, vuole il disegno di una museruola per la sua pecora, che le impedisca di mangiare la rosa. Tutto è pronto e lui è stanco, ha la museruola per la pecora, ride, ma è angustiato. Prende appuntamento col serpente. L’aviatore lo segue, il suo motore che lo aveva confinato nel deserto è aggiustato, tutto un buon finale, sembrerebbe, ma teme per il piccolo principe, lo sente fragile ed è in pena per lui. Nel cercare di evitargli la partenza gli ha disfatto la sciarpa d’oro. Sembra un errore citato a caso, ma non è così. Il piccolo principe, senza più la sciarpa d’oro al collo, a poco a poco si riscalda, non parla più della volpe, della bellezza invisibile di una rosa sola e delle stelle che sono belle per un fiore che non si vede, saluta il suo amico con qualcosa che non ha niente dell’esclusivismo di un addomesticato. Guarderai le stelle, la notte. È troppo piccolo da me perché ti possa mostrare dove si trova la mia stella. È meglio così. La mia stella sarà per te una delle stelle. Allora, tutte le stelle, ti piacerà guardarle. Tutte, saranno tue amiche.
Il suo regalo va nel senso inverso rispetto all’insegnamento della volpe. Evita il personalistico possesso che ogni uomo ha per le sue stelle; chi le fa guide, chi piccole luci, chi dei problemi da risolvere, chi ne fa affari. Ma, per loro, dice il piccolo principe, tutte queste stelle stanno zitte. Tu avrai delle stelle come nessuno ha…
Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere. Ecco il dono finale: il riso. Ricorda un poco il libro sul riso del Nome della Rosa.
Ora che va a casa, anche lui con il suo regalo (tutte le stelle mi verseranno da bere), il piccolo principe rimane un poco scoraggiato, triste, piange, continua a dire, sai…il mio fiore…ne sono responsabile!
Ma l’aviatore ha per fortuna commesso un errore nel suo disegno; una cosa straordinaria: ha scordato di mettere la correggia di cuoio. La museruola è inservibile.
Tutto cambia nell’universo se in qualche luogo, non si sa dove, una pecora che non conosciamo ha, sì o no, mangiato una rosa.
Ora, questo libro che sembrerà a molti una favola per bambini, io lo considero una storia vera, che ci riguarda tutti. Perché tutti siamo in qualche modo addomesticati. Tutti viviamo su un pianeta che ha paura dei baobab e li estirpa appena distingue la loro poderosa crescita da quella spinosa delle rose, tutti viviamo in un sistema che, in qualche modo, da a bere pillole al posto dell’acqua, rende l’amicizia un legame che ci fa tristi, il lavoro una fatica inutile che ci rende frustrati, il potere una boriosa occupazione tanto ridicola quanto sadica. Tutti siamo circondati da segreti che vivono al nostro posto, immersi nella responsabilità che non ci fa osare quel gesto: togliere la museruola alla pecora perché la mangi, sì, la rosa, quel fiore addomesticato da un’ associazione segreta, a volte chiamata Rosa Rossa, a volte Golden Dawn, Alba d’oro. Vedrete che tutto cambia se una pecora un giorno, mangia la Rosa addomesticata e numerata dall’uomo rosso.
Ma queste per chi non comprende sono cose di poca importanza, pure se ha letto: E non è una cosa seria cercare di capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricare delle spine che non servono a niente? Non è più serio e importante delle addizioni di un grosso signore rosso?